Angioletto è una complessità; foriero come un navigatore satellitare nelle mani di Cristoforo Colombo, paradossale come un imperatore che abdica dopo essersi nominato unico erede di sé stesso.
Ma chi è il vero Angioletto? Colui che sta dietro la specchio nel castello di Fagarè o il bambino con la testa squarciata da un colpo d’ascia e chiuso in un barile di petrolio? Nel mio romanzo “Nero&fondente“ non vi è una reale distinzione, bensì una descrizione, che qui vi riporto.
LEGGETE, CREDETEMI CHE NE VALE LA PENA....
Capitolo SUCCO DI CORVO. Dal diario di Marietta Mazzucco Cortà:
16 agosto - Nel libricino di Selmo non ho trovato nulla, è solo un pezzo di Gargantua e Pantagruele di Rabelais, e viene della nostra biblioteca, l'ho letto almeno vent'anni fa, l'apologia della merda e delle trippe in tutte le sue declinazioni. L'ho riletto tutto, giorno e notte, mi sono rifatta le solite risate – primum cacare deinde culum astergere – presumo laddove avevo riso anni orsono. Angioletto si è raccomandato che io lo riunisca al vecchio tomo monco, e gli ho chiesto spiegazioni, quid pro quo, quid pro quo, io riaggiusterò il tomo e lui mi dirà dove leggerlo. Ne conosce molti stralci, deve averli imparati all'asilo, o forse li attinge da qualche dimensione extracorporea ove l'onniscienza è il naturale prolungamento della coscienza umana. Mi ha canzonato congratulandosi con me perché ben dischiumeggio la verbocinazione laziale ( credo intendesse riferirsi al Limosino che mal contraffaceva la lingua francese) poi mi ha detto che avrei dovuto captare la benevoglienza dell'omnigiudice, omniforme ed omnigeno sesso femminino. A questo proposito credo che Subbushatt sia una femmina. Angioletto ha perseverato nell'utilizzo del titolo di faraone, ma lo ha poi ribaltato nell'epiteto di faraona d'Egitto, ma quale Egitto? l'Egitto per Dio e per la Madonna! Quasi a volersene prendere gioco. Sta diventando criptico, contrariamente a Berardo che scade sempre più nella trivialità. Entrambi hanno però mostrato segni di evoluzione, anzi, mi correggo, di involuzione. Il miasma di Subbushatt ha rallentato di un poco, ora misura quasi una spanna ma l'umore di Angioletto scivola nel trasecolamento. Appena due ore fa l'ho visto in posizione di meditazione trascendentale, credo la posizione del Loto o qualcosa di simile. L'emorragia sul cranio sembrava più contenuta, gli abiti meno zuppi, aveva un'espressione serena, recitava Nam Myoho Renge Kyo, mi ha chiesto di portargli delle offerte, una mela e dell'acqua pulita dalla fontanella che sgorga qui in via Colomban, poi di piazzare tutto davanti allo specchio. Lui si sarebbe nutrito dei riflessi ed è stato di parola. Ha addentato la mela dalla sua parte e ha bevuto l'acqua con un gorgheggio voluttuoso, pareva che in tutta la vita avesse conosciuto solo il sentimento della sete, e la fame, ma non la fame tout court, bensì di quella mela soltanto. Nella mia realtà è successo qualcosa di terrificante. La mela si è afflosciata come il tendone di un circo, si è disfatta come una mela cotogna nel forno, è caduta in pezzi che assumevano le contorsioni più svariate, per un po' ho quasi pensato che aumentassero le dimensioni utili, non più tre o quattro col tempo, ma cinque, mille, infinite innumerevoli. Poi il dubbio è divenuto certezza. Angioletto mi ha detto di osservare e giudicare il riflesso della mela riflesso nella specchiera dietro di me. Mi ci sono messa davanti carezzandomi il filo di perle al collo come avrebbe fatto Maria José la Regina di maggio, avevo un filo di rossetto sbavato e avrei voluto fosse sangue. Angioletto mi ha spiegato che era un po' così, un po' diverso, un po' vero un po' finto, un po' falso, e se avessi guardato attentamente nel torsolo scoperchiato come il torace di uomo squartato avrei compreso il nocciolo della trasmutazione, della trasverberazione inversa, della cocolla quantico-monacale di cui si sarebbe rivestito il mondo nel giorno del Giudizio. Era tutto basato sulla più rigorosa incertezza. L'indeterminatezza mi avrebbe conferito la determinazione, e con ciò avrei determinato. Ciò che stava di qua e di là dello specchio era solo il prodotto della reciproca interazione delle incertezze, delle innumerevoli possibilità, restava solo una cosa più vera di ogni realtà, ed era il morbo che rosicchiava entrambe le superfici. Gli ho chiesto di afferrare la mano del mio riflesso dietro di lui. Confido che è stato un tocco leggero, le sue dita erano quasi delle spine morbide, un tantino fredde, di quel freddo bisognoso di calore, poi mi ha assalito di nuovo quella sensazione di inquietudine. L'ho percepito morto e viscido, coperto di petrolio, chiuso in un buco più profondo che buio. Temo che il vero Angioletto dietro lo specchio sia solo quello, morto e disfatto. Gli ho chiesto di raccontarmi del suo cadavere, delle sue ossa, della sua carne, del suo cuore e del cervello. Voglio il vero Angioletto. Mi ha risposto che lo farà nell'anno in cui il flauto e il clavicembalo ed il violino e la grancassa suoneranno il flautista, il clavicembalista e il violinista e il gracazzone, cioè l'anno del mai. E' stato il rifiuto più ingegnoso che abbia fin qui ricevuto.
Vi ringrazio per la pazienza.
A. R. Mecfones
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